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Fernando Poggi: en la cancha desde siempre 7

Pochi come l’argentino Fernando Poggi possono avere una visione così completa e trasversale
sulle varie epoche del padel. Avendole vissute tutte da protagonista, in campo e fuori,
prima come atleta e poi come coach

– di Benedetto Sironi –

Fernando Poggi può essere considerato a ragione come uno dei più grandi e trasversali ambassador del padel. “Grande” a cominciare dal fisico: 1,95 metri per 95 chili di muscoli. Coach di molti top player con la sua M3 Academy (di cui vi parliamo nella pagina a fianco) oltre che ambassador Babolat dal 2019: non a caso è anche protagonista di alcune campagne del brand, come quella che trovate sfogliando le pagine di questo numero.

Argentino classe 1976, all’alba dei quasi 50 anni Fernando si allena ancora quotidianamente sia in palestra che in campo. Del resto, è il primo a dare il buon esempio anche nei confronti dei suoi più o meno celebri allievi. Abbiamo avuto il piacere di essere annoverati in qualche modo tra questi grazie a una clinic tenutasi presso il Verdura Resort di Sciacca dal 15 al 18 giugno, ottimamente organizzata dall’agenzia Touche Eclat. Quattro giorni nei quali, oltre ad allenarci nella “cancha” (campo, in argentino) con Fernando, abbiamo avuto modo di parlare con lui di passato, presente e futuro del padel. Già, perché pochi al mondo meglio di lui possono avere una visione così completa su questa disciplina.

Conosciuta e praticata fin da quando era un bambino che in Argentina si divertiva su campi di cemento con muri laterali alti poco più di un metro e “aperti”. Riscoperta poi dopo una breve parentesi nel tennis, e mai più abbandonata dalla fine degli Anni ’90 in poi. Dentro questi 30 anni e più di padel c’è davvero molto, tanto che la sua storia meriterebbe un libro. Per ora si è guadagnata la nostra cover story, nella quale abbiamo cercato di condensare alcuni degli aspetti più eclatanti e significativi de “El mundo de Fer Poggi”, per richiamare un format di videoclip che lanciò a inizio degli Anni 2000. Rivelandosi, anche in questo, un precursore.

Fernando, tu sei sempre stato “avanti” con la tecnologia, i video, i social. Da dove nasce questa attitudine?

Ho iniziato nel 2011 con Mariano Amat (oggi direttore tecnico della M3 di Madrid, ndr) registrando con una GoPro il “backstage” di tornei, partite, allenamenti. Insomma, la vita professionale di un giocatore. La gente a mano a mano ha iniziato ad apprezzarci e seguirci sempre più. Nel 2012 iniziai a partecipare stabilmente al programma tv “En Acción” su Telemadrid, che trattava tutti gli sport tranne il calcio. Lì disponevo di una sessione di 10 minuti con interviste e lezioni: ne registrammo 20 puntate, anche qui con grande successo. Mi resi conto che ero portato e il passaggio sui social è stato fisiologico e naturale. Oggi, spaziando da contenuti più tecnici ad altri più leggeri e divertenti, dedico una buona dose di tempo e cura a realizzare video, reel, post e stories, soprattutto su Instagram, dove ho superato i 100mila follower. Penso di essere nella top 10 dei profili più seguiti in assoluto se parliamo di padel (top player esclusi).

La vittoria all’Opel Padel Tour di Cadice nel 2000

La tecnologia per un periodo divenne anche la tua professione.

Esatto, e mi permise anche di trasferirmi dall’Argentina alla Spagna, passaggio decisivo nella mia carriera. A inizio Anni 2000, infatti, io e un amico a casa avevamo un’azienda di telecomunicazioni. Stava diventando però difficile conciliare le cose. Nel 2005 quindi ho venduto la mia parte dell’azienda per dedicarmi 100% al padel come professionista, stabilendomi definitivamente in Spagna dove andai la prima volta nel 1996, quando partecipai al Mondiale di Madrid e quasi nessuno conosceva questo sport. Dopo il rientro in Argentina, tornai in Spagna nel 2000 giocando alcuni tornei e il mondiale di Tolosa con Gustavo Pratto. Fu poi un misto di fortuna e casualità, oltre che un litigio con il suo compagno Alberto Rodríguez Piñón, che mi portò a giocare con Cristian Gutiérrez. Mancava un torneo alla fine della stagione, l’Opel Padel Tour di Cadice. In coppia per la prima volta, partendo non certo favoriti, lo vincemmo, battendo prima i numero uno Hernán “Bebe” Auguste e Juan Martín Díaz, poi in finale Marcello Jardim e Roby Gattiker. Seguirono anni nei quali giocai insieme o contro tutti i più forti giocatori di quell’epoca, rimanendo nella top 10 per un decennio. La stagione migliore fu quella del 2012, sempre con Cristian (Gutiérrez, ndr), perché sono diventato campione del mondo a Barcellona battendo in finale Pablo Lima e Juani Mieres in quello che allora si chiamava Padel Pro Tour. Una settimana davvero spettacolare.

Hai giocato e allenato tanti giocatori: quali sono a tuo parere i più forti degli Anni ’90, 2000, 2010 e 2020?
Per gli Anni ’90: Lasaigues e Gattiker. Il 2000 è stato l’epoca di Juan Martín Díaz e Bebe Auguste, che hanno vinto davvero molto, mentre nel decennio successivo e non solo Juan e Belasteguín sono stati i migliori. Per il 2020 dico ovviamente per ora Lebrón – Galán, anche se vedendo quello che stanno combinando quest’anno Tapia e Coello potrebbero addirittura superarli.

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I primi passi nel padel di Fernando Poggi

Come sta cambiando il padel a livello professionistico?
La forma fisica e la preparazione sono sempre più aspetti fondamentali per un top player oggi, ma non bastano. Spesso la differenza la fanno doti come mentalità, concentrazione, applicazione, capacità di gestione dei momenti importanti e difficili, oltre al buon rapporto con il compagno e in generale con tutto il team. Come ho detto spesso agli stessi Galán e Lebrón: non bisogna pensare che vincere tutto sia facile; loro per due anni lo hanno reso tale, ma ogni torneo va giocato e festeggiato come se fosse l’ultimo vincente, perché potrebbe esserlo. Infortuni o coppie più giovani, forti e meglio assortite potrebbero farti dimenticare per un bel po’ il gusto della vittoria. È proprio quello che sta accadendo con Tapia e Coello.

Perché il padel è cresciuto molto negli ultimi tre anni e non prima? Cosa dici a chi crede sia una bolla?
Il padel stava già crescendo, ma poco. Il Covid è stato la chiave, in particolare per l’Europa e il Medio Oriente dove si poteva giocare solo a quello, o quasi. Questo ha fatto la differenza, perché da lì in poi è stata un’esplosione a livello mondiale. D’altra parte è normale che tutto quello che cresce a un certo punto si normalizzi, come sta succedendo ora in Svezia. Dopo anni di forte entusiasmo alcuni club stanno addirittura chiudendo. In Italia potrebbe succedere la stessa cosa e ci sarà un’inevitabile selezione, anche se c’è ancora molto margine.

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Il suo lavoro da padel content creator

Quali sono stati i tuoi principali sponsor tecnici e qual è il tuo rapporto ora con Babolat?
Negli anni sono stato legato a differenti brand, tra i quali ricordo Akkeron, Dropshot, Duruss e Starvie, quest’ultimo nei cinque anni precedenti rispetto a Babolat, mio attuale sponsor con il quale ho cominciato a collaborare nel 2019, fornendo anche feedback nello sviluppo dei prodotti. Sono molto soddisfatto del rapporto con l’azienda e del fatto che mi abbiano coinvolto come immagine in alcune delle loro campagne, nonostante sia ormai sulla soglia della vecchiaia con i miei 47 anni (ride… Anche quando gli faccio notare che ne dimostra almeno 15 di meno, ndr).

Per questo, oltre che per i tuoi video divulgativi e la tua attività di coach nella tua Academy e in giro per il mondo, ti senti un ambasciatore ideale del padel?
Mi fa molto piacere pensare di offrire il mio contributo in vari modi ogni giorno per una diffusione sana e corretta di questo sport, che vivo e amo da tempo. Soprattutto nei primi anni in Argentina, ma poi anche in Spagna, non avrei mai pensato che potesse divenire la mia principale fonte di reddito e la mia professione. Anche perché non era pensabile immaginare una crescita così repentina e di queste dimensioni in pochi anni. Diciamo che questo mi dà molta soddisfazione e al contempo responsabilità nel provare a fare tutto al meglio, cercando di mettere il medesimo impegno sia quando alleno i più forti giocatori del mondo, sia quando insegno i primi colpi a un principiante.

L’Accademia dei campioni

La M3 Padel Academy nasce nel 2013 dall’idea di rivoluzionare il padel da parte di Jorge Martínez insieme a David Morales (attuale ceo) e Miguel Matía, i cui cognomi daranno poi le tre “M” del nome della scuola. L’istituto rappresenta la prima accademia di padel del mondo orientata ai giocatori professionisti, dove la collaborazione costante, l’allenamento in squadra e lo sviluppo integrale della persona rappresentano i punti focali. Partita con un gruppo ristretto di persone 10 anni fa, oggi la M3 conta 80 giocatori tra professionisti e semi-professionisti, una scuola dilettanti con 600 alunni e numerose iniziative come l’international week che attira allievi anche dall’estero. Inoltre, offre servizi di esternalizzazione della gestione delle scuole, accordi di collaborazione per i club, consulenze specializzate, costruzione di strutture dedicate. La sede principale è a Madrid, mentre i club che collaborano con la M3 sono 10 e sono suddivisi in sette Paesi tra Spagna, Messico, Svezia, Filippine, Kuwait, Cile e Italia, dove sono presenti a Piacenza (Pianeta Padel, dove Fernando ultimamente è presente una settimana al mese), Torino (Palavillage) e presto anche a Roma.

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Fernando Poggi e Jorge Martinez

Fernando, quando hai iniziato a lavorare con la M3 Padel Academy?

Nel 2008 Jorge Martínez è diventato il mio allenatore, l’Accademia è stata fondata nel 2013 e io sono entrato come socio nel 2015. Ora siamo in quattro a gestirla: il sottoscritto in qualità di allenatore ufficiale, Jorge Martínez che è direttore generale, David García Campos, che si occupa della parte internazionale dei corsi, e Javier Morales che si occupa della gestione operativa. Il team di allenatori comprende anche Alberto Ruiz, che è il direttore del centro di Madrid, e Mariano Amat che si occupa dell’Accademia itinerante e degli allenamenti con altri cinque coach quando viaggiamo (piuttosto spesso).

Ci sono anche mental coach e psicologi in Accademia?
Sì, anche su questo fronte i giocatori possono contare su professionisti dedicati, come Jorge Lorenzo, che lavora con Lebrón – Galán e altri giocatori dell’Accademia. Anche Eli Amatriaín, una delle migliori giocatrici del mondo, ci darà supporto proprio in questo ambito. Ci sono momenti specifici anche “in aula”, ma spesso il lavoro sulla parte mentale è svolto direttamente in campo, perché è lì che esce la vera pressione. Per questo l’allenamento migliore da questo punto di vista rimane pur sempre la competizione, è difficile replicare altrimenti le medesime condizioni.

Come organizzate gli allenamenti?
Ogni settimana i giocatori devono compilare un modulo con i propri giorni disponibili e poi ci coordiniamo con loro su WhatsApp, in particolare Alberto che si occupa delle attività giornaliere. Poi la durata dell’allenamento dipende dal tutor che gli viene assegnato, che insieme all’allievo cerca di capire i suoi obbiettivi e cosa vuole ottenere, disegnando l’allenamento in base alle sue competizioni. I giocatori che alleniamo sono diversi e comprendono molti top player o giovani promesse pronte ad affermarsi: Diestro, Pincho, Jaime Menéndez, José Román, Iñigo Jofre, Javi Navarro, Jorge Martínez, Boris Castro, Nieto, Guerrero, Dani Luna, Yanguas, Arroyo, Adrián Ronco, per citarne alcuni. Oltre a molte ragazze al top del WPT come Delfi Brea, Marta Talaván, Lorena Rufo, Mari Carmen Villalba, Jimena Vleasco e giocatori di prima e seconda fascia di Madrid. Nel terzo gruppo poi si allena gente non professionista ma a cui piace allenarsi e che ha un buon livello. Abbiamo anche un buon numero di italiani, professionisti e non, che viene da noi per una settimana o anche più. Compresi alcuni coach (SPH per esempio organizzerà proprio qui a luglio uno stage di perfezionamento, ndr).

Come viene gestito l’allenamento quando ci si trova fuori dall’Academy per un torneo?
L’allenamento in questo caso inizia già una settimana prima e dipende molto dalle condizioni dell’avversario e dal luogo. Per esempio, se il giocatore si scontrerà con un mancino lo alleniamo già i giorni precedenti facendolo giocare contro un mancino. La cosa bella dell’Accademia è che abbiamo una grande varietà di giocatori per agevolare questo tipo di interazioni. Il nostro stesso slogan è “Siamo una squadra e condividiamo questo principio di unità”. La collaborazione tra tutti è fondamentale. Per questo capita spesso che molti dei nostri allievi si trovino ad allenarsi allo stesso livello: magari non giocheranno in partire ufficiali con Galán e Lebrón perché sono più indietro nei raking, ma durante gli allenamenti è molto probabile che vengano mescolati i gradi degli allievi. A tutti piace confrontarsi con i migliori e chi dimostra la giusta attitudine e impegno in qualsiasi situazione viene premiato anche in questo modo. Oltre che preparazione fisiche e nozioni tecniche, è questo quello che ci piace trasmettere, anche perché sono tutti valori che mi hanno sempre accompagnato durante tutta la mia carriera: passione, dedizione, applicazione, lavoro di squadra

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